Pappagalli – intervista a Nadia Ghibaudo

Focus wild dicembre 2016

Nadia Ghibaudo con uno dei suoi pappagalli

Nadia Ghibaudo

 

 

Nadia Ghibaudo parla dei pappagalli
Nadia ha una vita passata con gli animali e per gli animali. Inizia occupandosi di cani e cavalli per studiare e promuovere un approccio più etico, responsabile e rispettoso del benessere di questi animali, mettendo in atto relazioni basate sull’empatia e sul vero rispetto dell’alterità e dell’altrui volontà.
Impegnata sul fronte del recupero dei pappagalli, della loro riabilitazione e del loro affidamento Nadia ha fondato Airas (associazione italiana recupero animali selvatici) e organizza anche, sia in Italia che in Francia dove risiede, incontri, anche nelle scuole, corsi, conferenze e consulenze per la conoscenza etologica, l’educazione, il rispetto del pappagallo e la risoluzione delle problematiche comportamentali.

Pappagalli – intervista a Nadia Ghibaudo
E’ vero che i pappagalli sono molto intelligenti? Ci sono molti studi scientifici che comprovano il livello cognitivo di questi animali, e  mi è bastato studiarli per poco per averne conferma. Ma proprio per questa loro intelligenza è ovvio che in cattività non sono in grado di assolvere alle loro necessità di vita. Da qui è nata la mia volontà di applicarmi per studiare un metodo rispettoso e di relazione che aiuti i pappagalli tenuti in cattività, nella speranza di riuscire a donare loro almeno un’accettabile qualità di vita.
Cosa rende unici questi animali? Tutto ciò che riguarda questi animali è peculiare e improntato sul loro adattamento in natura: dalla capacità e necessità di socializzare, alle caratteristiche prettamente fisiche che li rendono creature strutturate per volare, Anche il loro piumaggio, estremamente sofisticato, rappresenta una delle peculiarità di questi uccelli. Essi possiedono dei pigmenti, che sono unici dei pappagalli e che si chiamano, infatti, psittacofulvine che determinano quella meraviglia cromatica che possiamo vedere. I colori distribuiti “a zone” come in molte specie di psittaciformi non è un caso ma donano loro il caratteristico camouflage (che non è la mimetizzazione) che spezza la tridimensionalità, così da migliorare le difese contro gli eventuali attacchi dei predatori.
Come fanno i pappagalli a parlare? grazie all’apparato fonetico o fonatorio che utilizza un meccanismo diverso da quello che utilizziamo noi esseri umani: per noi sono le vibrazioni delle corde vocali a permettere l’emissione di suoni modulati dalla lingua, nei pappagalli le onde sonore sono date dal siringe (organo vocale degli uccelli  posizionato nella porzione più profonda della trachea) che al suo interno presenta delle piccole pieghe della mucosa dette membrane “timpaniformi”, che vibrano producendo il suono modulato.
Sono animali da compagnia? Dal mio punto di vista direi assolutamente no. I pappagalli sono animali che necessitano di una lunga fase di sviluppo e di socializzazione che dovrebbe essere specie-specifica. Niente e nessuno può sostituire l’insegnamento, la fase dell’impregnazione (fase cosiddetta “sensibile” che contiene più momenti di imprinting) della struttura sociale di cui questi animali possono giustamente godere con i conspecifici. Noi esseri umani, sapendolo fare, possiamo intervenire attuando una doppia socializzazione, diciamo una socializzazione “secondaria”, durante la quale insegniamo loro a relazionare con una specie differente, la nostra, fermo restando il fatto che li stiamo privando di ciò che per nascita spetterebbe loro: la libertà e la vita tra individui della loro specie e nei cieli della loro terra. Molto spesso, tuttavia, non solo la socializzazione secondaria viene gestita in modo scorretto ma, addirittura, viene negata ai pappagalli anche la socializzazione primaria con i genitori allevandoli “a mano”, ovvero dalla schiusa dell’uovo in avanti.
Quali sono i pappagalli in commercio? Ci sono numerose specie, tra cui il genere Amazona che comprende specie native del centro e sud America (tra cui A. aestiva, A. amazzonica, A. auropalliata. A. oratrix…), il genere Ara diffuso in tutto il sud America (A. ararauna, A. chloroptera, A. macao…), il genere Pionites che comprende le due specie di caicco originari dell’Amazzonia (P. leucogaster, P. melanocephalus), il genere Agapornis, noti come inseparabili e originari dell’Africa centro-meridionale, e cacatua di diverse specie (C. alba, C. sulphurea, C. galerita…) provenienti da Australia e Malesia e i Cenerini (Psittacus erithacus) africani.
Quanto tempo rimangono i piccoli nel nido? Sino al momento dell’involo, che varia da specie a specie. Il nido, infatti, va considerato come un “utero” nel quale i piccoli finiscono la fase di sviluppo che permetterà loro di poter affrontare l’ambiente esterno: prima di questo momento, i piccoli non hanno ancora terminato lo sviluppo e potrebbero, come accade talvolta, subirne conseguenze per tutta la vita. Inoltre, in linea generale, i nidi dei pappagalli sono molto profondi (in alcune specie si parla di 4 metri e oltre) – non a caso le uova di pappagallo non sono mimetiche ma perfettamente bianche, non avendo la necessità di “confondersi” vista la profondità del nido – pertanto i piccoli possano involarsi, solo quando sono atti a percorrere il lungo tragitto che li porterà all’uscita del nido e per fare ciò il loro sviluppo deve essere completo.
In natura hanno cure parentali? Sì, e le cure parentali di cui necessitano sono davvero complesse, fatte di costante presenza di genitori e fratelli durante tutti i momenti essenziali, dalla fase di “impregnazione” a quella dei diversi apprendimenti: dall’attendere il proprio turno per mangiare, al sapere cosa e come mangiare, allo sviluppare competenze fisiche, all’apprendere modelli di pulitura del piumaggio che sono specie-specifiche (un cacatua non pulisce il proprio piumaggio come farebbe un amazzone) e tanto altro ancora. Sono proprio queste fasi che vengono saltate di netto nell’allevamento pilotato dall’essere umano, ed è proprio qui che affondano i disagi, a volte gravissimi e mettono profonde radici accompagnando i pappagalli nella loro lunga esistenza.
I pappagalli possono essere addomesticati? Se per “essere addomesticati” si intende farli relazionare anche in età adulta alla vita con l’essere umano, sì, purché si proceda con rispetto e mai coercizione. Ma se per “addomesticati” si intendere che il pappagallo diventi un vero animale domestico, allora la risposta è no. I pappagalli restano animali selvatici.
Che tipo di problemi possono avere i pappagalli in cattività? I maggiori problemi comportamentali che si rilevano in cattività sono la sindrome da autodeplumazione, le grida, le beccate e le aggressioni. Questo almeno per quanto riguarda ciò che possiamo vedere con occhi non esperti perché, in realtà, molti sono i problemi non veduti e che a volte i pappagalli subiscono nella più completa incoscienza di chi li detiene. Le cause di questi comportamenti di disagio sono da un lato legate ai mancati apprendimenti sociali che questi uccelli subiscono durante la crescita, e dall’altra a un’errata comunicazione e gestione. In natura i pappagalli comunicano tra loro attraverso un complesso linguaggio vocale, parlando delle vere e proprie lingue e tramite il linguaggio del corpo, sia macro sia micro linguaggio, che noi spesso non siamo in grado di leggere. In aggiunta tendiamo a guardare e poi giudicare “da umani” gli eventi che riguardano gli animali quando, invece, ogni specie vive e reagisce secondo il significato che dà a quel particolare accadimento. Anche condizionare a suon di rinforzi, per lo più alimentari, i comportamenti di questi animali non è una corretta gestione. Infine c’è tutto un discorso legato alla presunta “cura” per cui alcuni proprietari utilizzano pratiche barbare senza la minima coscienza come il taglio delle remiganti ai pappagalli fin in tenera età che porta a problemi psicologici nell’animale-preda che si vede privato della sua principale via di fuga. Per quanto riguarda invece unghie e becco non sempre serve limarli se si dotano le voliere di opportuni allestimenti e posatoi con pezzi di legno dove l’animale può limarli da solo. Al contrario, un’unghia magari “fastidiosa” per noi è largamente utile alle destrezze con cui un pappagallo affronta l’ambiente. Pertanto, comunque, meglio chiedere al proprio veterinario se è utile accorciarla o non è necessario.
Qual è il modo corretto per approcciarsi a loro in cattività? Bisogna partire dalla conoscenza dell’animale e dalle sue caratteristiche. In primis è importante non dimenticare che i pappagalli in natura sono prede e si comportano da tali pertanto, nel relazionarsi con loro, non bisogna mettersi frontali davanti a lui e fissarlo perché non metterebbe l’animale in uno stato di confort e non vi riterrebbe ben educati, ma porsi lateralmente come farebbe un compagno. A questo punto si deve cercare di capire il suo linguaggio del corpo. Vanno guardati di sottecchi gli occhi, perché dilata e stringe le pupille molto rapidamente e volontariamente in risposta a uno stato di eccitazione, cioè se prova gioia, paura, aggressività e vanno osservati tutti i distretti del corpo, come le ali, la cresta, il becco, i piedi e la coda: ogni parte del corpo contribuisce a formare la frase-messaggio, come noi metteremmo il soggetto, il verbo e il complemento oggetto per dare senso compiuto al nostro parlare. Un’amazzone, per esempio, con le pupille ristrette, le ali e la coda aperte a forma di cuore, le pennette sopra il becco sollevate e un rigonfiamento delle penne del collo, sta minacciando ed è meglio avvicinarsi. Fraintendendo l’animale si può andare incontro a reazioni inaspettate (per noi) e mostrandogli di non comprendendolo lo si condanna ancor più  alla solitudine..
Come intervieni nella gestione comportamentale di un pappagallo in difficoltà? Intervengo stimolando le capacità proprie dell’animale, tutte le soluzioni sono già presenti nella mente del pappagallo. Basta dargli la possibilità di esprimerle, ma non ci si può improvvisare. Bisogna studiare tanto e studiare le cose giuste. Un animale sociale ha tutto l’interesse nel vivere in accordo con suo gruppo, perché mai dovrebbe beccare, gridare spasmodicamente, aggredire, deplumarsi se non per manifestare un grave disagio? Questi non sono affatto comportamenti normali tra pappagalli in natura
È possibile reintrodurre pappagalli che hanno vissuto in cattività nel loro habitat naturale? I progetti di reintroduzione esistono e sono piuttosto complessi. Il più ambizioso è quello della reintroduzione di due specie di pappagalli brasiliani, l’Ara di Spix (Cyanopsitta spixii) – specie che alla fine del secolo scorso non contava di 15 esemplari in tutto – partito nel 2012 e l’Ara di Lear o ara indaco (Anodorhynchus leari) che dopo aver visto la sua popolazione crollare attorno ai 150 individui negli ultimi anni si è dimostrata in ripresa superando i mille esemplari. Di entrambi i progetti se ne sta occupando il governo brasiliano ma soprattutto nel primo caso non sarà facile. L’impregnazione subita da parte dell’essere umano inficia questa possibilità di certo in prima generazione, vale a dire che un pappagallo cresciuto in cattività non può essere portato nei suoi luoghi di origine e liberato.
Pappagalli Ara ararauna, Ara giallobluQuanti pappagalli le sono stati affidati attualmente e qual è la loro storia? Premesso che io non allevo e recupero pappagalli di mia iniziativa ma mi occupo di quelli che mi vengono affidati, al momento ho con me 8 pappagalli anche se in passato il numero è stato più elevato, fino a 16 alla volta, direi insostenibile, per una persona sola. Tra i ritrovati e affidati, ognuno ha storie uniche: la storia più curiosa, se la leggiamo all’umana, è quella di un anziano pappagallo amazzone fronte azzurra (Amazona aestiva aestiva) di nome Chicco. Fu catturato in Brasile a pochi mesi d’età, comprato da un italiano residente nel paese d’origine del pappagallo e tenuto in appartamento fino al trasferimento in Italia dei proprietari, 30 anni fa, che se lo portarono appresso con tanto di biglietto aereo che conservo tra i suoi documenti. Questo pappagallo che ha superato la cinquantina ha una tale esperienza di “gestione degli esseri umani” che si comporta in maniera decisamente… umana. Sgrida, alletta, coccola (solo chi vuole lui), chiama, fa scenate di gelosia, tutto con parole umane. O meglio con accento bresciano come i suoi proprietari, che lo hanno dovuto cedere perché il capofamiglia, con il quale Chicco aveva un rapporto esclusivo, era ormai troppo anziano per riuscire a gestirlo correttamente. Chicco mangia gli spaghetti con una perizia incredibile, prima ripulendo il sugo e poi consumando con metodo la pasta. Altri pappagalli (Amazzoni di diverse specie e un’Ara ararauna) provengono da recuperi ENPA Milano – di animali fuggiti ma senza targhetta di riconoscimento o addirittura di figli di “evasi” nati liberi nei cieli milanesi – altri da maltrattamenti come nel caso il giovane Ara chloroptera maschio di nome Renato. Quest’ultimo sta attraversando la fase critica dell’adolescenza, che in questa specie dura molto tempo, anni, e durante questo periodo la gestione deve essere molto attenta ed educativa. Infine altri pappagalli provengono da proprietari che si sono trovati a doverli cedere.
Hanno un carattere diverso l’uno dall’altro? Non solo ogni individuo è un mondo a sé, avendo ereditato una parte della loro personalità da quelli che sono i fattori biologici, come il temperamento, che derivano essenzialmente dalla costituzione neuro-endocrina dell’individuo e sono collegati con l’intensità della vita emotiva e con il tono dell’umore, e dall’altra di fattori sociali ed interpersonali, dati dalla peculiare esperienza individuale. Inoltre, ogni specie di psittaciforme ha caratteristiche etologiche e biologiche particolari, non uniformabili con altre specie. Ecco perché dire “pappagallo” è estremamente generico.
Qual è la situazione dei pappagalli in natura? A causa di una serie di fattori che vanno dal disboscamento per allevare bovini o prelevare legno o trasformare la foresta in coltivato, al commercio degli animali, la maggioranza delle specie di psittaciforme è a rischio di estinzione. Dal luglio 2007 è entrato in vigore il blocco definitivo delle importazioni degli uccelli selvatici in Europa. Dagli inizi del XIX secolo si sono estinte molte specie e alcune drasticamente ridotte. La Checklist of CITES species del 2016 al mese di aprile, riporta 56 specie di pappagalli ad alto rischio di estinzione in appendice I (anche per il cenerino è in fase discussione il passaggio in appendice I), tutte le altre sono iscritte in appendice II, che riguarda le specie ridotte di numero e comunque bisognose di forte protezione. Quindi, solo l’Agapornis roseicollis (inseparabile faccia rossa), il Melopsittacus undulatus (parrocchetto ondulato), il Nymphicus hollandicus (calopsitta) e lo Psittacula krameri (parrocchetto dal collare ) sono escluse dalle liste. La specie più ad alto rischio di estinzione è senza dubbio l’Ara di Spix, orami presente solo in cattività.
Negli ultimi anni la presenza di pappagalli nel nostro paese è aumentata, si possono davvero adattare ai nostri ambienti? E cosa può comportare per la nostra fauna? Si, si possono adattare ai nostri climi, anche a quelli di paesi ben più a nord rispetto a noi, come la Gran Bretagna, l’Olanda. Essendo i pappagalli animali molto intelligenti, la loro adattabilità ambientale è elevata, per cui possono occupare habitat normalmente utilizzati da nostri uccelli autoctoni. Moltissimi, però, sono i pappagalli che, una volta liberi nel nostro territorio, non riescono a sopravvivere. Gli esemplari che invece ce la fanno si impongono sulla fauna locale, basta dare uno sguardo ai cieli di Roma, Genova, di molte aree venete e milanesi, dove ogni tanto vengono segnalati pappagalli anche di media taglia.
Cosa bisogna fare se si avvista un pappagallo libero, che potrebbe essere scappato? Chiamare immediatamente un’associazione competente come ENPA o LIPU: improvvisarsi nel recupero di un animale che vola è sconsigliabile, come lo è in via generale anche raccogliere un animale sotto CITES e portarselo a casa senza avere i dovuti documenti: la detenzione di animali protetti dalla Convenzione di Washington senza i regolari documenti rappresenta un reato penale.
Intervista a Nadia Ghibaudo l'amica dei pappagalli

Focus wild dicembre 2016 – Intervista a Nadia Ghibaudo l’amica dei pappagalli

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